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“Aprite le orecchie”. L’esortazione può sembrare minacciosa ma così titola l’articolo con cui Walter Fochesato, sulla rivista Andersen, annunciava la nascita di Orecchio Acerbo. “Una nuova sigla editoriale – scriveva Fochesato – caratterizzata da un logo semplice ed elegante (una parentesi e una virgola a formare un orecchio appunto) e da un nome che, esplicitamente, si rifà ad una nota filastrocca dell’ultimo Rodari. L’orecchio acerbo che miracolosamente alcuni adulti conservano per comprendere l’infanzia e comunicare con essa”.

Chi, come me, frequenta da molti anni la Fiera del libro di Bologna, non ha certamente dimenticato il debutto della casa editrice. Era l’anno 2001 e tra gli stands si aggiravano degli strani personaggi con un orecchio verde. Quell’orecchio dipinto di un verde acceso saltava agli occhi, ed essi come novelli pifferai di Hamelin attiravano gli incuriositi astanti. Ad incantare i visitatori in fiera era anche il particolare formato della loro prima produzione: libri stampati in un unico foglio e confezionate a fisarmonica.

La loro fu un’operazione di “marketing” tanto semplice quanto geniale. I loro nomi: Fausta Orecchio, Simone Tonucci, Sara Verdone e con loro molti dei primi autori e collaboratori. Quel debutto segnava anche la nascita di un nuovo indirizzo dell’editoria italiana che, fortunatamente, non sarebbe più stata come prima.

Una vera e propria rivoluzione era in atto, senza trambusto, senza chiasso, ma laboriosa ed umile capace di imporsi con la forza delle idee. In una società che riduce tutto a merce, il pensare il libro come esperienza estetica, credo si possa ben dire senza enfasi, è rivoluzionario.

Orecchio Acerbo sembrava mettere in discussione tutta una serie di concetti, o preconcetti sarebbe meglio dire, in un solo colpo. La definizione stessa di libro per l’infanzia veniva messa in crisi attraverso un nuovo rapporto tra testo e immagine, le tematiche trattate, la scelta di autori nuovi o la riscoperta di grandi classici dimenticati, la chiamata a raccolta di artisti emergenti che potevano trovare un inedito spazio di libertà e creatività.

Anche l’oggetto libro Orecchio Acerbo si presentava del tutto singolare. Nuovi formati, nuove rilegature ed un sapiente lavoro grafico caratterizzavano, e caratterizzano ancora, la veste editoriale.

Il tutto guidato da una naturale vocazione alla ricerca e alla innovazione. Uso volutamente questi due termini, di cui da anni sentiamo fare abuso nel nostro paese, sintomo del fatto che, nella pratica, siano regolarmente evitati come una malattia infettiva. Da quel lontano 2001 il “virus” Orecchio Acerbo contamina il mondo editoriale ed ha permesso al nostro paese, “l’ex bel paese” per citare ancora Fochesato, di colmare quella distanza che lo separava dagli altri paesi europei in questo settore.

Dino Buzzati scriveva: “Possiamo essere certi che tra qualche anno comparirà un nuovo scrittore che farà da caposcuola. […] Sarà come un suono di tromba, una voce completamente nuova, una scoperta dell’uomo. E’ anche sicuro che la differenza, rispetto a quanto si è fatto finora, consisterà in una cosa molto semplice. […] Eppure non riuscivamo a prevederla.”*

Inseguire una propria idea in barba alle indagini di mercato, trattare il pubblico pasolinianamente “alla pari”, non evitare la complessità ma offrendo libri che facciano pensare, lasciare esprimere gli artisti, non più visti come mera manodopera del sistema: questa è la “rivoluzione semplice” di Fausta Orecchio.

In questi anni ho avuto la fortuna di frequentare Fausta grazie alla collaborazione con Ars in fabula, il master di illustrazione della nostra Accademia.

Conoscendola capivo ogni volta un po’ di più come tutto questo fosse stato possibile. Mi colpiva il suo eclettismo, le sue molteplici competenze e nello stesso tempo i timori che manifestava all’inizio di ogni nuovo corso, quasi come fosse la prima volta, come se avesse dovuto cominciare da zero. Trovavo bellissima questa sua modestia, questa capacità di coniugare la freschezza tipica degli esordi con la sua grande esperienza. Mi stupiva il suo sguardo meravigliato, “fanciullino” direbbe Pascoli, che ostinatamente non rinuncia a stupirsi; la sua proverbiale capacità di ricordare un’immagine anche se vista una sola volta chissà dove e quando.

Inoltre, la sua puntuale attenzione ad ogni aspetto del lavoro, il senso etico che la porta ad assumersi pienamente la responsabilità culturale che un editore ha nella società, nonostante i rischi, non ultimo quello economico, che questo comporta.

E’ comprensibile, allora, quella sapiente fusione di poetiche che ogni libro Orecchio Acerbo racchiude. Ogni autore, con il proprio stile, sembra convergere verso un punto comune. Questo stile nuovo, direi collettivo, diventa esso stesso contenuto restituendoci quella meraviglia che per Aristotele è il sintomo del pensiero speculativo e motore della conoscenza.

Potete certamente comprendere il mio stato d’animo quando Fausta accettò di collaborare al nostro neonato master di illustrazione. In tutti noi del gruppo organizzativo, l’enorme gioia si mescolava al timore che quella sfida comportava. Eppure proprio con Fausta doveva nascere il nostro primo figlio, il primo libro pubblicato di un allievo del master. Oggi le pubblicazioni sono cresciute di numero e molti sono i nomi degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Macerata che compaiono tra gli autori della casa editrice. I loro libri sono sugli scaffali delle librerie italiane e straniere allietando fanciulli di tutte le età.

Potete non vederlo ma anche il nostro orecchio è colorato di verde ed è un onore sentirci partecipi e solidali con i principi che Fausta porta con sé ed il titolo Honoris Causa dell’accademia di Belle Arti di Macerata ne è testimonianza.

Mauro Evangelista,

18 ottobre 2012, in occasione della consegna a Fausta Orecchio della laurea honoris causa da parte dell’Accademia di Belle Arti di Macerata

Dino Buzzati: In quel preciso momento

“Giugno 1946”. Mondadori 1963

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