Incontro bambini in relazione al mio essere disegnatore e scrittore di libri fatti pensando a loro. Sono incontri mediati in un primo momento da bibliotecarie e libraie, e in un secondo tempo dalle maestre, che arrivano in libreria e in biblioteca con le loro classi. Scrivo tutti i mestieri al femminile perché quasi sempre sono svolti da donne. Direi che se fosse per gli uomini non vedrei altri bambini se non mio figlio. Faccio pochi incontri all’anno. Un po’ perché quando veramente funzionano c’è un dispiego di energie tale da lasciarmi esausto. E un po’ nella speranza di non trasformarmi anch’io in un professionista di incontri coi bambini.
A volte straordinarie, più spesso le maestre si dimostrano un ostacolo alla buona riuscita dell’incontro. Se disinteressate, parlano fra di loro mentre i bambini sono assorti nel racconto. Oppure, ossessivamente presenti, soffocano ogni loro gesto inconsueto e manifestazione spontanea. Quando partecipano i loro interventi raramente raggiungono il livello d’immaginazione, di sofisticazione che c’è nelle cose dette dai bambini. Questa differenza credo in parte provenga dalla diversità – quasi zoologica – fra bambini e adulti: mentre la maggior parte dei bambini che ho conosciuto ha interessi molto ampi e curiosità quasi illimitata su ogni argomento, la maggior parte degli adulti che ho conosciuto ha interessi molto limitati e indifferenza quasi illimitata su ogni argomento. Ma forse è anche costitutivo della scuola, come istituzione, il togliere il respiro a quella complessità naturale che in moltissimi hanno quando sono bambini. Faccio un esempio che mi è vicino, il disegno. Più o meno tutti siamo andati a scuola e abbiamo imparato a leggere e a scrivere. Più o meno tutti siamo andati a scuola e abbiamo disimparato a disegnare, come se la scuola, con la sua ossessione per la parola scritta e il suo implicito disprezzo per l’immagine, fosse una gigantesca fabbrica di analfabeti visivi. Forse questo non è scollegato al modo in cui ci siamo ritrovati affascinati davanti alla televisione, incapaci a distinguere le immagini vere da quelle false.
Un frutto di questa stessa negligenza verso l’immagine lo si ritrova nel vero letamaio visivo costituito dai libri di testo scolastici su cui studiano e imparano a leggere i bambini. Le illustrazioni, il tipo di carta, l’impaginazione, ogni cosa è fatta al ribasso, è brutta, falsa. Qualunque albo di figurine di Dragonball è realizzato con maggior impegno, qualunque fumetto di supereroi ha una relazione testo-immagine di gran lunga più interessante. Certo, anche in libreria le cose non vanno bene. Una gran parte di quello che si spaccia per letteratura per ragazzi è scritta da persone che non hanno niente d’interessante da raccontare e illustrata da gente che non sa disegnare; un mainstream di forme arrotondate, colori brillanti e storielle edificanti di cagnette e conigli. Dalla scuola, però, non sarebbe lecito aspettarsi un maggior grado d’attenzione riguardo a testi e riguardo a un visivo su cui i bambini verosimilmente si formano?
Della scuola, però, paradossalmente non sembra si possa fare a meno. A Milano, dove abito, gli adulti si sono accaniti contro l’infanzia in modi che non ho visto nelle altre città dove sono vissuto: La Plata, Città del Messico e Londra. I bambini sono svaniti dall’orizzonte visivo, rimossi dai parchi dove non possono arrivare senza genitori/nonni/baby sitter che aiutino loro ad attraversare le strade, esiliati dai marciapiedi abitati da macchine e rumore assordante, impossibilitati dunque a fare esperienza per conto proprio, fra di loro. La scuola pubblica resta l’unico posto dove i bambini possono ritrovarsi insieme – anche se sotto una mediazione adulta – senza troppe distinzioni razziali o sociali. L’ultimo posto dove Mowgli può ancora sperare di trovare Bagheera e Baloo.
Fabian Negrin, 25 luglio 2009