Un lombrico contro la pena di morte
Il poeta Nino De Vita si dà alla letteratura per bambini. Una favola che fa riflettere, tra italiano e siciliano.
Illustrazioni di Ghermandi
di Roberta Maresci
29 MAGGIO 2008

Un verme contro la pena di morte. Storia già scritta quella del verdetto pronunciato prima ancora che arrivi la sentenza: ma pur sempre da leggere. Soprattutto se a scriverla è il premio Moravia nel 1996 per la letteratura italiana e premio Napoli nel 2004. Questa è infatti in sintesi la deliziosa storia scritta in versi da Nino De Vita, uno dei più autorevoli poeti contemporanei che questa volta si rivolge ai bambini: meglio se dai 6 anni in su.

Un racconto, pubblicato con a fronte il testo originale in dialetto siciliano, sui mali della giustizia e della democrazia, una parabola semplice e immediata contro la demagogia e la scorciatoia dei capri espiatori. E gioca d’anticipo Francesca Ghermandi, illustrando la storia con animali dagli occhi grandi, forzatamente atteggiati a cattivi. Provvisti di antenne deformate, bocche aperte in cercare di accuse probabili. Pare siano in ordine gli ingredienti di questo libro che basta guardarlo per avere conferma nei tratti fare i versi alla pop-art di Warhol. Per spiegarlo non fate uno ma ben due passi indietro e mettetevi seduti.

Il racconto del lombrico (Orecchio Acerbo, pagine 40, 14,00 Eu) ci va giù pesante a lanciare un forte messaggio contro il pregiudizio, il “buon senso comune”, la voglia di trovare a tutti i costi un colpevole, ma non “deborda” di moralismo che viene consegnata a piedi pari al ritmo puro delle parole, al piacere del racconto, la conclusione. Ma veniamo alla storia: tutto il mondo dell'orto è in gran subbuglio. Dalla lumaca al calabrone, dalla chiocciola al lombrico. Tutti hanno udito la terribile minaccia urlata dal contadino. Bisogna fare qualcosa, trovare il colpevole, impedire che per colpa di uno paghino tutti. All'assemblea non manca quasi nessuno. E ognuno si difende. Non ho mangiato che qualche seme... A me basta un fusticino... Figuriamoci se per un po' di ninfa... Ma un colpevole bisogna trovarlo.

Evocativa come una fiaba di Esopo, la narrazione si fa gioco di rimandi dialettali. “E ccu è c’u sapi, forsi era ‘nnucenti” “E chi lo sa, forse era innocente”. Ci si domanda dopo i fuochi sul protagonista del racconto, quell’unico e solitario lombrico che vive nell’orto con gli altri animali accusato di mangiare la terra. Chiamato a rapporto dalle altre bestiole dice: “Sì, mi nutro mangiando la terra”. “A morte” fanno gli altri. E così finisce: il vermetto rimanere nell’orto ma non deve mangiare più la terra. Finale non lieto per l’esiguo inquilino di madre natura. Muore mancandogli il cibo. E pensare, che dopo la sua morte… “Ma picchìnni ‘sta casèntula era pi’ vui nnucenti?” “picchì ‘u viddanu aeri, ma puru ‘sta matina arruvauàu ‘i chiantìmi ri àgghia e sparaceddu morti”. Che tradotto diventa: “Ma perché questo lombrico era per voi innocente?” “Perché il contadino ieri, ma pure questa mattina ha trovato piantine di aglio e broccoletti morte”. Il resto è racchiuso in un’amara considerazione e nel semicerchio in giù che nasce spontaneo dalla lettura: riflessiva, d’insegnamento.

Una modalità che contraddistingue l’editore Orecchio Acerbo, che lo scorso mese ha pubblicato un altro volume. Titola La vera principessa sul pisello di Octavia Monaco (€ 15,00). Una rivisitazione “libertaria” della novella di Andersen costruita con intelligente ironia sia come testo che come illustrazioni. Insolite, spiazzanti, di pari passo al finale non ortodosso. Perché invita a vedere al di là delle nostre abitudini, della nostra pigrizia percettiva…